TERRA |
Tal fosti: or qui sotterra polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango immobilmente collocato invano, muto, mirando dell'etadi il volo, sta, di memoria solo e di dolore custode, il simulacro della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, che tremar fe', se, come or sembra, immoto in altrui s'affissò; quel labbro, ond'alto par, come d'urna piena, traboccare il piacer; quel collo, cinto già di desio; quell'amorosa mano, che spesso, ove fu porta, sentì gelida far la mano che strinse; e il seno, onde la gente visibilmente di pallor si tinse, furo alcun tempo: or fango ed ossa sei: la vista vituperosa e trista un sasso asconde. (Leopardi, Sopra il ritratto di una bella donna)
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(VA)
Avevo creduto di stare dormendo, e invece ero morto. Non c'era alcun dubbio! Quella cosa buia e angusta contro la quale i miei arti rattrappiti urtavano non poteva che essere una bara. L'aria mi mancava tremendamente. Questa mania di sigillare i cadaveri... Ma ero un cadavere, veramente? Iniziai a pensarci, pur nell'affanno della mancanza di ossigeno, con una certa tranquillità. In fondo non avevo altro da fare. Mi ero pur mosso, respiravo, come facevo a esser morto? D'altra parte, che ne sapevo di quello che facevano i cadaveri una volta che erano stati inscatolati, saldato l'argenteo metallo in modo da separare per sempre la loro oscena putrefazione dal dominio dei vivi? No, non che credessi veramente alla possibilità di resurrezione. Forse non mi ero veramente mosso, non avevo respirato. Avevo, semplicemente, immaginato di fare entrambe le cose. Cosa, questa, apparentemente difficile da fare per un morto, ma non necessariamente impossibile. Perché, sul fatto che i morti possano immaginare qualcosa, certo nessuno potrebbe dire una parola definitiva.
(VA, Profondo)
Questo pensavo, concludendo che dovevo essere morto, e decidendo di rigettare come illusorie le sensazioni che altro non erano se non i ricordi della mia vita passata. Quanto alla possibilità di esser stato seppellito vivo, la trovai un'idea ridicolmente legata al passato, una reminiscenza romantica, decadente, ricordo delle lontane letture giovanili dei racconti di Edgar Allan Poe. Tuttavia, non potevo fare a meno di ansimare per la mancanza d'aria, anzi, di immaginare di farlo. Così, con una certa condiscendenza verso l'attività estrema delle mie cellule cerebrali, restie ad abbandonarsi alla notte eterna, lasciai che le mie mani provassero a cercare un'impossibile via di uscita, trovando infine una fessura nella lamiera, colpevolmente lasciata da un necroforo negligente. Sì, certo, lo immaginai soltanto. Le mie mani, allora, trovando la forza che mai avevano avuto in vita, allargarono quella breccia, spingendo poi verso l'alto il pesante coperchio di legno massiccio. Nella terra dove ero stato deposto vidi allora che un tortuoso cunicolo, la via di una talpa forse, conduceva alla luce. Ma sì, lo immaginai soltanto. Così come immaginai di uscire dalla bara e immettermi in quel cunicolo, così come immaginai di respirare finalmente la stessa aria che avevo respirato in vita, quando in realtà è chiaro che non si respira mai la stessa aria, nemmeno da vivi, perché, come dice il filosofo, la stessa acqua non scorre mai nello stesso fiume, più o meno. Ma tutto questo, ovviamente, lo immaginai soltanto. |
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A vegetale morte intagliando la soluzione del caso quella rotta di curva a scivolante risonanza la terrea volontà incuneandosi deraglia a vuotare il caso che lo scroscìo sottile mi spiove l'intaglio la lunga via a spiraglio (quella della morte) a esponenziale livore verso l'ultimo unica è la strada e tardo a scivolare        (attarda quell'ultimo scopo) e lui disperatamente incruda di cupe insudice soglie la morte così vicina la morte ché quasi taglio le ore alla fine (l'infiora a ultime notti      a bianco percosso nascente) e a fermarla fermare la fine ché quasi l'occhio non vede la fine si perde a intermittente insistenza a spiare oltre i luminari                          aperti a futuro lungo e sale       ad alto involìo crescente a terra bucata quel piccolo chiodo nel braccio e dentro quel poco a infinita morte non riesce la vita a fermare quell'ultimo giorno come rosa cerulea a far l'amore lontano
al termine della parola (dell'ultimo) e che parola seguire ora (e) se
(NP) |
Il tuo sogno stava per fermarsi nell'abisso della notte e il terrore ti ha svegliato. Il filo di speranza che avevi teso si è spezzato, lasciandoti solo e indifeso di fronte ai fantasmi. Calmati, viandante, e riprendi il tuo notturno cammino. Ritrova la strada che ti conduce verso l'alto. E non temere. Non c'è niente di cui aver paura, men che meno della morte. |
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